Da qualche settimana conosco Enrica e da qualche settimana, ogni tanto, le do una mano ad appendere i manifesti del concerto di Dente à Paris che lei organizza per il Marcovaldo, un cafè - libreria bellissimo nel Marais alto. L'altra mattina avevamo appuntamento al locale per prendere una p'tit déjeuner e iniziare a riempire Parigi di scotch con del vero caffè a darci la forza. Francesco, da dietro il banco, ci annuncia che mette la musica giusta. Lo annuncia con quell'aria orgogliosa macchiata di gioia nel sapere di provocare fastidio. Mette Ivan Graziani. Ivan Graziani. Alle 10 del mattino penso di essere al funerale di un mio amico, sento la tristezza salirmi dentro, penso a tutte le cose che non stanno andando bene.
Per cercare di sopprimere questo cancro di angoscia che nel frattempo è già arrivato alla bocca dello stomaco, decido di guardare la parete di libri. Mentre leggo i nomi e guardo i colori e penso l'ho letto, vorrei leggerlo, non lo leggerò, sento che gli altri stanno parlando di cambiare musica, ma non ascolto. La piccola libreria di Marcovaldo è bellissima. Essenziale, incompleta, ma bella. La guardo come se fosse un foglio bianco e io dovessi seguire con gli occhi un'onda disegnata con un pastello a cera da un bambino con la maglietta a righe. Inizia con la narrativa, e io parto dal basso perché c'è Calvino, poi diventa fumetto, poi in alto ci sono le guide turistiche e in un quadrato in alto a destra, ma più in basso delle guide, c'è la poesia. È proprio sulla curva che fa l'onda per scendere di nuovo. Oltre non so cosa ci sia, non ho mai guardato. Mancano pochi scaffali e potrei continuare, ma non è pigrizia, è che ogni volta che ho visto la poesia mi ci sono fermata e poi era tempo di andare.
Nell'istante in cui il mio sguardo è sceso un poco per leggere Zanzotto in nero su sfondo arancione Mondadori mi accorgo che non ho più la tempesta dentro, sono calma e mi sento quasi bene. Sento una voce che mi piace e capisco che hanno cambiato album, senza cortesia chiedo cosa sia questa cosa, chi è che sta cantando, cos'è.
- Giuliano Dottori. Viene a cantare qui stasera, ti piace?
- Non lo so, non l'ho mai sentito. Ma sento una cosa strana, sembra per me. Come hai detto che si chiama?
Ho passato il pomeriggio a informarmi su questo Giuliano Dottori, che io all'inizio ricordavo si chiamasse Giuliano Medici, mais bon. Leggo Wikipedia, lo ascolto su YouTube, lo ascolto su GrooveShark, lo cerco su Twitter, metto mipiace su Facebook. Le canzoni mi fanno impazzire, ogni tanto piango, ogni tanto sorrido, ogni tanto mi ricordo com'ero quando avevo vent'anni. Cioè cinque anni fa.
Ho sempre paura dei giovani cantautori perché spesso sono dei cazzoni. Tipo una volta ero a un concerto di Dente e gli ho urlato che è un cucciolo, un cucciolo di panna; cosa che evidentemente non è perché mi ha risposto con una brutta battuta e da quella volta non l'ho più ascoltato. Coglione.
Poco male, avevo pagato i soldi solo per sentire l'unica canzone che mi piaceva, cioè A me piace lei - lei piace a me. In genere questo gruppo di nuovo cantautorato giovine non mi fa impazzire, ecco. Invece questo Giuliano non dev'essere tanto nuovo, o tanto cantautorato, o tanto giovane, perché a me impazzire mi fa e quindi, nonostante lo studio, decido di andare al concerto la sera.
Ci metto venti minuti a scegliere come vestirmi, per poi accorgermi una volta pronta che è eccessivo e che ho sbagliato, cheppalle. Arrivo con dieci minuti di ritardo, prendo un vino che si chiama Falanghina, mi fumo una sigaretta e guardo da fuori il concerto iniziare. Marcovaldo è proprio bello. E con il gruppo che suona dietro il vetro lo è ancora di più. Un po' ascolto, un po' chiacchiero, un po' bevo. Poi parte la canzone per cui avevo pianto il pomeriggio, sussurro che è bellissima, così, per me. Ma in quel momento Giuliano si gira verso la parte di locale dove c'ero anch'io: non so cosa abbia visto lui, ma nella mia testa ha letto le mie labbra e mi ha sorriso. Ascolto la canzone sorridendo anch'io e guardando gli scaffali di poesia fermi sul foglio. Dopo un po' inizia un'altra canzone, Silenzi. Io sono sola in mezzo a sconosciuti, un po' in disparte, un po' in una stanza vuota.
Ci sono stati altri momenti bellissimi del concerto, altre canzoni bellissime, ma queste due sono qualcos'altro.
Ci sono certe canzoni che sono perfette per qualcosa di specifico nella mia vita qui. Per esempio il Pont Neuf al ritorno dall'università ha Big Jet Plane di Angus And Julia Stone, le scale di casa mia in discesa hanno Nightcall di Kavinsky, la rue Dauphine ha Controvento di Giorgio Canali. Questa sera sono rincasata in metro, scesa dal treno ho infilato le cuffie e acceso il lettore in random.
Inizia una chitarra, è un parco di Londra, poi arriva la voce e sembra proprio dietro il tuo orecchio. Salgo le scale ed esco sul Boulevard Saint Germain. Il sole è un pugnale sulla testa, per te che porti pioggia in fondo agli occhi. Ti immagini stesa su un letto e dietro di te questa voce che un po' ti abbraccia, un po' ti racconta cose all'orecchio che non ti fanno stare bene. È un abbraccio soffice l'oscurità. Non sta cantando parole, me le sta dicendo: si sente la lingua sul palato, la bocca che si apre, i denti che fermano la z. Hai creduto di essere migliore. Hai voluto fingerti peggiore. Svolto a destra e cammino sulla via di casa. È uno di quegli abbracci da cui non ti aspetti molto, in cui vuoi solo restarci dentro. E invece chi ti abbraccia ti dice cose che non vuoi ascoltare e rompe la magia bella e inventa una magia brutta, ma che ti piace.
È una tristezza da favola prima di andare a dormire.
Spingo forte il portone, finisce la musica, attraverso la corte, appoggio la mano sulla maniglia per aprire la porta a vetri dell'éscalier B, inizia la musica, la riconosco e penso che non ci credo. È una chitarra, ma felice. Ed è la stessa voce che parlava prima, ma felice. Inizio a salire le scale. Difenditi dal giorno, difenditi da te. La voce un po' scende sul pronome, forse è davvero preoccupato. Siamo seduti uno di fronte all'altro, su due sgabelli di legno da bambino. Difenditi dal tempo, difendi l'orizzonte intorno a te. È qualcuno con la camicia bianca che sa tutto il mio male. E' serio ma felice, mi spiega che tutto andrà bene, che l'abbraccio di prima lo posso dimenticare, lo devo un po' combattere.
Difenditi dal freddo, difenditi da te. E non scordarti di precipitare e di atterrare come sempre.
Nessun commento:
Posta un commento